Martin Ticks, CEO di Birsterminal AG, ricorda il 26 luglio 2019 come un venerdì del tutto normale. La tempesta scoppiò infatti solo in serata e, alle nove, Ticks ricevette una chiamata a casa. Le persone che si trovavano nelle vicinanze della Birsterminal avevano lanciato l’allarme: una gru si era abbattuta sui binari della ferrovia del porto. Martin Ticks non riusciva quasi a crederci: come era possibile che 680 tonnellate di acciaio fossero state spazzate via così? Quando Ticks giunse al porto sul Reno, la tempesta si era già calmata. Davanti a lui si presentò un’immagine di distruzione. Sul posto erano intervenuti la polizia e i pompieri che erano occupati di liberare in parte i binari e di mettere in sicurezza il luogo dell’incidente. Fu subito chiaro che, grazie a Dio, non c’erano persone coinvolte.
Quando giunse il sabato, alla luce del sole i danni apparvero ancora più gravi. Il secondo impianto di sollevamento risultava infatti bloccato per via dei danni. Pertanto, per non interrompere completamente l’attività dell’azienda, si rendeva necessario sgombrare l’area il più velocemente possibile. Dopo aver verificato i documenti relativi alla manutenzione, il giorno successivo il pubblico ministero diede il via libera ai lavori di sgombero. «Lavoro da molto tempo al porto sul Reno e avevo già vissuto diverse tempeste, ma l’entità di quei danni era assolutamente incredibile», ricorda Martin Ticks.
La perizia svolta dall’esperto incaricato dall’Helvetia evidenziò che, benché la tempesta fosse stata in generale molto forte, non fosse probabilmente l’unica causa del danno. In alcune parti della regione erano state infatti registrate folate di vento che raggiungevano i 220 km/h. Le immagini di una stazione di misurazione evidenziarono come, nel corso della serata del 26 luglio, presso il porto sul Reno si fosse creata una simile raffica discendente, una cosiddetta «downburst». «Per noi la conferma dell’eccezionale violenza fu importante», afferma Martin Ticks. La potenza delle folate di vento fece oscillare la gru nonostante le sue ruote fossero bloccate. La gru urtò la seconda e l’improvviso blocco portò quindi al ribaltamento.
L’impianto di sollevamento consisteva in una struttura in acciaio risalente agli anni ’40. «La verifica condotta da un ingegnere rivelò che la struttura in metallo era talmente massiccia che avrebbe potuto durare altri 50 anni», dichiara Martin Ticks. «Ricostruire una gru perfettamente uguale a quella precedente avrebbe richiesto due anni di lavoro, con un costo totale compreso tra i cinque e i sei milioni di franchi». Questo è quanto indicarono gli esperti dei sinistri dell’Helvetia al direttore Rinaldo Marty. Un’interruzione d’esercizio di due anni non era una strada percorribile e, dopo soltanto una settimana, ecco che arrivò un’ulteriore proposta. Costo: quattro milioni di franchi, interruzione d’esercizio: un anno.
Nel corso di un sopralluogo al porto insieme al cliente, in modo inaspettato si delineò una nuova idea: una piattaforma per attrezzature di movimentazione mobili, operante su un elemento di calcestruzzo fisso che dalla terraferma si spingesse verso il Reno. Un mese dopo la tempesta il progetto legato alla nuova soluzione era pronto e fu sottoposto a Birsterminal. Anziché sei milioni, la soluzione ne costò meno di tre e già dopo otto mesi, contro i due anni pronosticati, Birsterminal poté riprendere la propria attività. E, poiché è attiva anche nel settore del riciclaggio dei materiali da costruzione, l’azienda è stata colpita marginalmente dalla crisi legata al coronavirus, registrando soltanto una leggera diminuzione del numero delle commissioni. «Oggi disponiamo di un nuovo impianto che ci è costato la metà del prezzo previsto. E anche l’interruzione dell’esercizio è durata meno della metà del tempo preventivato», dichiara con soddisfazione l’amministratore delegato. Ed ecco come Martin Ticks descrive la gestione dei danni da parte dell’Helvetia: «Il tutto si è svolto anche in modo estremamente veloce, grazie all’eccellente collaborazione con il nostro assicuratore»