04/11/2020, Autore: D.A.S.
Con la Legge 22 maggio 2017 n. 81 in Italia è stato ufficialmente introdotto, nell’ambito del lavoro subordinato, il lavoro agile, noto nel gergo comune come smart working.
Anche se a prima vista risulta quasi sovrapponibile al telelavoro, in realtà le due figure sono differenti. Tra le differenze principali va ricordato che lo smart worker fornisce una prestazione di lavoro flessibile, senza una postazione fissa e ne alterna lo svolgimento dentro e fuori i locali aziendali, il telelavoratore invece utilizza una postazione unica al di fuori dei locali aziendali e rigidamente sottoposta all’organizzazione del datore.
Gli elementi che contraddistinguono lo smart working sono dunque:
La normativa italiana ha previsto che per avviare la modalità di lavoro agile tra lavoratore e azienda debba essere sottoscritto un accordo. Gli accordi vanno comunicati, attraverso una piattaforma web dedicata, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e, all’interno della cornice generale delineata dalla legge, devono delineare:
La possibilità di accordarsi adottando un’organizzazione più flessibile del lavoro può rappresentare una soluzione complessivamente vantaggiosa, in quanto consente in molti casi allo smart worker di conciliare la prestazione lavorativa con altre esigenze di vita, senza che ciò comprima i diritti (e i doveri) del datore.
Tuttavia l’utilizzo di tecnologie sempre connesse con i sistemi aziendali, indispensabili per il lavoro da remoto, sempre più di frequente pongono il problema di come ridefinire a livello pratico-operativo i tempi di riposo e come concretizzare il diritto del lavoratore a non ricevere continue sollecitazioni lavorative, vedendosi invece garantito un arco temporale in cui è legittimato ad ignorarle.
Detto altrimenti: gli strumenti di lavoro quali pc e tablet sostituiscono la tradizionale postazione lavorativa, con il risultato che difficilmente può essere abbandonata perché è la postazione stessa che, ahimè, è strutturalmente “al seguito” del lavoratore!
Il recente aumento del ricorso al lavoro agile incentivato dalla normativa emergenziale per contrastare l’epidemia da diffusione della Covid-19 (D.L. 17 marzo 2020, n. 18, e il D.L. 19 maggio 2020, n. 34, all’art. 9 ), ha riproposto il tema con rinnovata urgenza, considerato che temporaneamente il ruolo dell’accordo delle parti è stato relegato a una comunicazione datoriale unilaterale.
In tempi ordinari è compito della contrattazione collettiva e/o della trattativa tra azienda e lavoratore disciplinare nel concreto il diritto alla disconnessione, ad esempio indicando le fasce e i giorni di non reperibilità, tenendo a mente che anche nel lavoro agile devono essere rispettate le norme sui limiti della quantità massime di ore lavorabili e la parità di trattamento con i lavoratori ordinari.
Laddove tutto questo risulti ancora un cantiere aperto, per fare ordine una soluzione è partire dalle considerazioni elementari.
Nell’ambito lavorativo ordinario, salvo accordi o normative specifiche, è un diritto del lavoratore dipendente essere irreperibile fuori dall’orario lavorativo concordato (e comunque il lavoratore più difficilmente riceve sollecitazioni lavorative terminato il turno, sino alla ripresa del successivo).
Ciò che invece nel lavoro agile rischia di verificarsi, vista la perenne connessione degli strumenti e quindi l’effettiva perenne raggiungibilità, è la richiesta del datore di gestire con immediatezza e-mail, messaggi e comunicazioni (richiesta legittima), il tutto lungo un arco temporale fluido, senza certezze di orario, addirittura nel corso delle 24 ore (pretesa non legittima).
Come anticipato, una simile configurazione del rapporto lavorativo non può essere corretta e accettabile, per diverse motivazioni:
Precisato questo e fermo restando che l’organizzazione del lavoro è e resta prerogativa del datore, solo se detta organizzazione viene coniugata con la finalità conciliativa connaturata al lavoro agile si può auspicare di sviluppare soluzioni in grado di trarre la massima utilità, in tema di produttività individuale, dalle nuove forme di flessibilità e dalla tecnologia.
In definitiva, la legge del 2017 e l’attuale ricorso incentivato al lavoro agile impongono una nuova sfida sul tema della disconnessione ma anche su quello della tutela della salute e della privacy del lavoratore, che coinvolge tutti gli attori del sistema: dal legislatore alle aziende, dalla contrattazione collettiva alle aule di giustizia, dove il tema ancora non è stato oggetto di un numero consistente di procedimenti in grado di tracciare linee guida interpretative e di comportamento omogenee e autorevoli.